Old friends and new vibes.

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  1. lovesick‚
     
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    Da bambino si poteva dire che fossi il più coscienzioso dei miei fratelli, sempre calmo, sempre tranquillo, cercavo sempre di seguire le regole e di fare la cosa giusta in ogni occasione. Inutile dire quanto mi piacesse andare a scuola ed imparare, studiare persino, tant’è che ricordo più di un’occasione in cui mia sorella Wendy mi ha affibiato il soprannome del “secchione”, se quella parola usciva dalla sua bocca non mi infastidiva davvero, fingevo solo di irritarmi tanto per darle la soddisfazione di avermi visto innervosito. I grandi occhiali tondi che avevo indossato fino alla fine delle scuole medie ed il fatto che mi piacesse particolarmente portare un vecchio cappello a cilindro, come quello indossato da mio padre, non aiutavano certo nella mia immagine. Con il tempo, crescendo ero cambiato, dopo le scuole medie avevo iniziato a frequentare il liceo, l’infanzia aveva lasciato il posto all’adolescenza, avevo smesso di portare quello stupido cappello a cilindro e avevo sostituito gli occhiali spessi con un paio di lenti a contatto. Non solo la mia immagine era cambiata, lo ero anche io, da bambino tranquillo e compiacente quale ero, mi ero trasformato nel perfetto stereotipo dell’adolescente scapestrato che faceva tardi la sera per uscire con gli amici facendosi beffe del coprifuoco dei genitori. Ne avevo combinati parecchi di disastri nel corso di quegli anni, di alcuni di questi mi pentivo e vergognavo persino, altri erano stati decisamente divertenti. Inutile dire quanto avessi dato del filo da torcere ai miei genitori e quanto mio padre avesse, forse incosciamente, cominciato a considerarmi un po’ come una causa persa, non credevo davvero che nemmeno lui se ne rendesse conto, eppure lo potevo percepire chiaramente dall’atteggiamento che aveva nei miei confronti. Era chiaro che non mi facesse piacere che mio padre, o qualunque altro membro della mia famiglia, potesse pensare certe cose di me, in quegli anni però non avevo proprio potuto fare a meno di comportarmi in quel modo. Anche qui però, mi era venuto in grande aiuto la crescita, mano a mano che gli anni passavano infatti avevo comincianto a capire che forse, qualcosa nel mio atteggiamento doveva cambiare, che dovevo pormi un’obbiettivo, qualcosa da perseguire nella vita, perché continuare a girovagare senza senso con il solito gruppo di scansa fatiche a lungo andare non avrebbe portato nulla di buono. A scuola i miei voti erano un po’ calati, ma non così tanto da diventare preoccupanti, per fortuna quella era una cosa di me che non era mai cambiata: ero sempre stato un ottimo studente. Dopo il diploma quando era arrivato il momento di decidere che cosa fare della mia vita avevo scelto di iscrivermi alla facoltà di medicina, ricordavo ancora la faccia sconvolta e lo sguardo disapprovazione di mio padre, doveva essere proprio sicuro del fatto che non sarei mai riuscito a portare a termine un compito così impegnativo. Beh, gli avrei dimostrato quanto si sbagliava, quanto potevo davvero farcela e soprattutto che sarei stato in grado di cavarmela da solo!
    Così eccomi qui, in questo bar a montare il latte per i cappuccini e riscaldare ciambelle prima di servirle. Quel giorno il bar era quasi vuoto, non avevo nemmeno notato quella ragazza dai lunghi capelli scuri che passava lì la maggior parte dei suoi pomeriggi a scrivere, a penna, su un quaderno, insomma questa cosa mi era saltata all’occhio, non sarebbe stato più comodo un computer? Il signor Scoffield aveva appena ritirato il suo caffè d’asporto e io stavo pulendo il bancone con una vecchia spugna che avrebbe avuto davvero bisogno di essere sostituita. Dopo l’uscita dell’avvocato nel locale eravamo rimasti io e la ragazza che scriveva sempre che ad un certo punto ordinò a Jack, il mio collega, una ciambella e un té alle erbe, peccato che Jack avesse finito il turno da una buona mezz’ora, alzando lo sguardo si accorse da sola che non si era rivolta alla persona che credeva «Mi dispiace non sono Jack, sono John, va’ bene uguale? Comincia sempre con la J…» le risposi rivolgendole un sorriso smagliante, la vedevo lì dentro da un po’ ma stava quasi sempre di spalle e con lo sguardo chino sul suo quaderno, ora che invece avevo la possibilità di guardare il suo viso, potevo dire che fosse davvero carina. «Preparo subito la tua ordinazione.» aggiunsi e dopo averle rivolto un altro sorriso, le voltai le spalle per andare a scaldare la ciambella e preparare il té, quando fu tutto pronto sistemai piattino e tazza su un vassoio, uscì da dietro il bancone e mi diressi al suo tavolino per appoggiare quello che aveva ordinato davanti a lei. «Ecco a te… Attenta al té è bollente, non vorrei che ti scottassi...» non era solo molto carina, nel suo viso c’era qualcosa che mi ricordava qualcuno… qualcuno che consocevo molto tempo prima… ma chi?
    John Darling
     
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2 replies since 30/8/2021, 09:43   70 views
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